Lo spazio-tempo curvo di un gas infiammabile

C’è un aspetto, poco discusso, nel confronto tra idrogeno e propano e, più in generale, relativo al tema della tendenza al galleggiamento del gas.

Non riguarda tanto quanto siano infiammabili, né il solito elenco di LFL, UFL o energie di innesco.

Riguarda il tempo e lo spazio, più o meno.

In un ambiente chiuso e vasto, un rilascio di idrogeno e uno di propano si comportano in modo profondamente diverso.

Non conta solo dove vanno. Ma come ci arrivano. E, soprattutto, in quanto tempo.

Prendiamo un caso concreto: il rilascio di uno di questi gas in un container metallico, qualche decina di metri cubi, apparentemente “piccolo”, ma con dimensioni caratteristiche dell’ordine di qualche metro.

Immaginiamo una sorgente di emissione prossima al suolo, causata dalla violenta caduta della bombola a pressione: la miscelazione dell’idrogeno con l’aria è relativamente breve. Il coefficiente di diffusione dell’H2 è, infatti, elevato, e soprattutto il gas è spinto verso l’alto dal galleggiamento. Anche in assenza di ventilazione forzata, il rilascio percorre l’intera altezza, si mescola lungo il cammino, si diluisce mentre sale.

Per il propano no. Il coefficiente di diffusione è molto più basso dell’H2 e la gravità lavora nella direzione opposta. L’accumulo avviene, in genere, nell’immediata prossimità del rilascio: pochissima la diluizione&dispersione: il tempo caratteristico di diffusione diventa dell’ordine di ore. Ore in cui il gas resta denso, stratificato, localmente in campo di infiammabilità.

Non è, dunque, solo una questione di densità.

È una questione di scala temporale.

L’idrogeno, se rilasciato al suolo, percorre strada per arrivare al soffitto. Sale. Attraversa volume prima, eventualmente, di accumularsi. E mentre percorre quella strada, si diluisce. Il propano viene emesso e resta lì, a pavimento. Non fa strada, non “cammina”, non si diluisce lungo un percorso. Si adagia, ristagna, presidia lo spazio basso nel tempo: un grosso cetaceo spiaggiato.

Questo ha una conseguenza diretta sul rischio reale: il propano crea zone pericolose stabili che persistono molto tempo dopo l’emissione, l’idrogeno tende a disperdersi molto più velocemente.

Per questo, in molti ambienti reali, il propano risulta più insidioso: non perché sia “più cattivo”, ma perché non se ne va.

Resta. Aspetta. E concede al caso molto più tempo.

E, nell’ambito della valutazione del rischio, il tempo è spesso il fattore più sottovalutato.

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PICCOLA APPENDICE DI CALCOLO

Immaginiamo che nel container chiuso di cui si diceva, non siano preventi moti convettivi e ventilazione, e si verifichi una perdita di gas all’interno. L’unico motore di riequilibrio interno della concentrazione, in queste ipotesi, sarà la sola diffusione molecolare del gas nell’aria.

In queste condizioni, il “tempo caratteristico di diffusione” è dato da (cfr. p. 482, Cussler, 2007):

t ≅ L² / D

dove:

L è la dimensione caratteristica del volume

D è il coefficiente di diffusione in aria

Si noti che un raddoppio della dimensione caratteristica (es. altezza nel nostro caso), determina una quadriplicazione delle durate di equilibrio.

Valori tipici a condizioni ambientali:

  • Idrogeno: D ≅ 6·10⁻⁵ m²/s
  • Propano: D ≅ 1·10⁻⁵ m²/s

Ipotizziamo un container standard, altezza ≅ 2,4 m

La sola diffusione molecolare causerebbe un riequilibrio della concentrazione nei seguenti tempi:

  • Idrogeno: t ≅ 2,4²/6·10⁻⁵ ≅ 9,6·10⁴ s ≅ 27 ore
  • Propano: t ≅ 2,4²/1·10⁻⁵ ≅ 5,8·10⁵ s ≅ 160 ore (circa 6,7 giorni)

Ancora una volta, il punto non sono solo le proprietà di infiammabilità di un gas, ma per quanto tempo persiste una zona pericolosa. In sintesi:

  • Il propano tende a creare zone pericolose stabili
  • L’idrogeno tende a creare zone pericolose transitorie

Nel mondo reale entrano poi in gioco galleggiamento, stratificazione e ventilazione… Ne parleremo un’altra volta, se del caso, ok?

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