E SE MISCELASSIMO IDROGENO E GAS NATURALE?

Ormai siamo tutti consapevoli di vivere nella più ampia crisi energetica mai verificatasi in occidente. Crisi della quale subiremo a breve gli impatti. Questa si innesta peraltro nel grande quadro connesso alla decarbonizzazione, antecedente il conflitto armato esploso nel cuore dell’Europa, per la quale il PNRR aveva già stanziato molte risorse.

Una delle ipotesi più interessanti viste in quest’ultimo periodo[1] consiste nella possibilità di convertire la potenza elettrica generata da fonte rinnovabile (parchi eolici, fotovoltaico) in gas combustibile stoccabile e utilizzabile al bisogno. La tecnologia viene definita Power to Gas (P2G) e si concretizza nella produzione, per elettrolisi, di idrogeno da accumulare e rendere successivamente disponibile per la combustione.

Quali sono i vantaggi?

Lo si comprende bene dalla tabella seguente, estratta dall’Annual Energy Outlook 2022 dell’EIA statunitense. Se ci concentriamo sulla seconda colonna (Capacity factor) si scopre che la disponibilità nella produzione energetica di un impianto a ciclo combinato (gas vapore) è stimata all’87%[2], un impianto geotermoelettrico è del 90% mentre la maggiore tra le rinnovabili (l’idroelettrica) si assesta ad un 56%. Il fotovoltaico attorno al 30%, l’eolico al 40%.

Che significato hanno questi numeri?

Indicano che il vento non è sempre presente così come il sole[3]: sono fonti energetiche intermittenti, aleatorie e attualmente per ogni MW elettrico rinnovabile installato è necessario un equivalente backup termoelettrico convenzionale (questo disponibile al 90%).

Con l’ipotesi P2G si supererebbe in parte il tema della relativa imprevedibilità delle fonti rinnovabili, convertendo l’energia elettrica prodotta da sorgente eolica o fotovoltaica in idrogeno verde (oppure in metano sintetico rinnovabile utilizzando la sintesi di CO2 e H2 attraverso processi di metanazione).

Si eviterebbero, in più, le criticità nel dispacciamento e si potrebbero assorbire pure le sovraproduzioni da fonte rinnovabile, spesso non capitalizzate.

Esistono peraltro studi specifici, condotti dall’Istituto per gli Affari Internazionali italiano, che prefigurano una produzione di idrogeno verde da fonte rinnovabile che colleghi il Nord Africa all’Italia (e quindi all’Europa). Lì di sole e di spazi desertici ce ne sono in abbondanza, pare[4].

Che ne faremmo dell’H2 prodotto?

Un possibile utilizzo prevede una sua miscelazione al metano in percentuali, in volume, non superiori al 10%.

Il vantaggio?

Enorme: non dovremmo pensare ad una rivoluzione nella distribuzione e stoccaggio avendo già un’infrastruttura di centinaia di migliaia di km di gasdotti e decine di miliardi di metri cubi di possibilità di stoccaggio.

Alla fine del 2019 in Europa esisteva una capacità globale di stoccaggio di gas naturale di circa 109 miliardi di metri cubi. Di questi, circa 18 miliardi relativi alla sola Italia (seconda in Europa dopo la Germania).

In tema d’ATEX la miscela CH4-H2 (90-10, vol/vol) non varierebbe di molto le sue caratteristiche di esplosività. Una simulazione personalmente condotta con database DIPPR evidenzia una limitata diminuzione del limite inferiore di infiammabilità (LFL) e, tenendo conto dell’art. 5.2.4, EN ISO/IEC 80079-20-1:2019[5], non vi sarebbe un aggravio di rischio in termini di minima energia di accensione (MIE)[6]. Le caratteristiche complessive di massa molare risultante (14,64 kg/kmol in luogo dei 16,04 kg/kmol del metano) non modificherebbero le dinamiche di rilascio a getto e, conseguentemente, le ampiezze delle zone classificate. La tendenza al galleggiamento della miscela verrebbe solo leggermente enfatizzata (la densità passerebbe, a condizioni atmosferiche, dagli 0,65 kg/m3 del metano a 0,6 kg/m3 della miscela 90-10).

L’unico aspetto degno di nota potrebbe essere connesso alla presenza di sensori di controllo dell’esplodibilità: in quel caso le soglie di taratura sarebbero da rivedere con la necessità, potenziale, di sostituire i dispositivi. Ricordo a questo proposito che, per esempio, la sensoristica in campo ad infrarossi risulta insensibile alle righe di emissione dell’H2. Questo comporterrebbe una lettura alterata a causa dell’effetto diluente dato dall’H2 in miscela di CH4.

In ogni caso in termini d’ATEX l’introduzione di questa nuova tecnologia non comporterebbe grandi stravolgimenti nella gestione del rischio di esplosione A CONDIZIONI ATMOSFERICHE.

In CONDIZIONI NON ATMOSFERICHE di pressione e temperatura sarà indispensabile invece un approfondimento che dettagli specificamente le modifiche al campo di infiammabilità, alla minima energia di accensione e alla temperatura di accensione.

I problemi non sono, tuttavia, solo legati all’ATEX.

Per esempio:

  • ► Negli stoccaggi sotterranei non è ben chiarita l’interazione tra l’H2 e la struttura geochimica della roccia serbatoio, le attività metaboliche microbiologiche in giacimenti porosi, la corrosione in ambienti con gas umidi nonché i degradi nelle proprietà del cemento.
  • ► Serbatoi di CNG per autotrazione, tenute spirometalliche, teflon, ecc. Il limite di concentrazione di idrogeno nel gas metano compresso per autotrazione è del 2% per problemi connessi alla fragilità da idrogeno che questo gas provoca nei metalli, soprattutto in contenimenti ad alta resistenza assoggettati a tensioni rilevanti[7]. Su tale limite si basano le qualifiche dei serbatoi e dei gasket di tenuta e difficilmente tali certificazioni sono riconvertibili nel caso di percentuali del 10%. Nel lungo termine, tuttavia, è pensabile ad una riconversione del parco esistente stante la durata non superiore ai 20 anni dei serbatoi.
  • ► Effetti sulle reti di distribuzione. Soprattutto nelle città italiane più antiche la sostituzione del gas di città con il gas naturale, anidro, determinò retroazioni che sfociarono in perdite, a volte rilevanti, dalle tenute disidratate. Retroazioni certamente non analoghe ma da valutare possono essere determinate dall’idrogeno in miscela in quantità del 10%. Soprattutto nel lungo periodo. Si discute di fragilità da idrogeno (ma non solo) che potrebbe instaurarsi nelle bullonature di collegamento, nella flangiature e nelle tubazioni, specialmente se ad alta resistenza. Gli effetti possono essere gestiti ma sono certamente da indagare approfonditamente nelle tubazioni “viventi” ed in “opera”.
  • ► Motori a gas. La variazione della composizione della miscela provoca modifiche anche rilevanti nella dinamica di combustione che deve essere attentamente studiata.
  • ► Turbine a gas. Anche in questo caso l’aggiunta del 10% di idrogeno nel gas naturale può causare, ad alta pressione e temperatura, radicali modifiche nelle dinamiche di combustione che dovranno essere approfonditamente analizzate.
  • ► Bruciatori a gas. La maggior parte delle tecnologie presenti sul mercato utilizza bruciatori atmosferici e i risultati dei test disponibili non coprono sufficientemente tutti i segmenti di apparecchi. Soprattutto in ambito pre-GAD (Direttiva bruciatori, D.Lgs. n. 23/2019 recepisce il Regolamento UE 2016/426 ed integra il DPR n. 661/96)
  • ► Rilevamento delle perdite. Come già detto, alcune tecnologie di sensori non “leggono” l’idrogeno che verrebbe visto come un gas solvente di diluizione del gas naturale. Tale problematica, a differenza delle precedenti, appare di semplice soluzione.

CONCLUSIONI

Il settimo corollario alla legge di Murphy specifica: “Ogni soluzione genera nuovi problemi”.

L’addizione di idrogeno nella misura del 10% al gas naturale rappresenta certamente una buona idea per la razionalizzazione del dispacciamento elettrico e per trasformazione di parte dell’energia elettrica prodotta in forma sostenibile per l’ambiente in un idrogeno verde di più semplice gestione.

La soluzione, da vedersi come una tra le tante da adottarsi in questa fase di transizione energetica, porta con sé tuttavia una serie di problematiche e criticità squisitamente tecniche che dovranno essere affrontate e risolte.

Forse non tutto sarà superabile ma l’approccio scientifico alla tecnologia ci ha ormai sorpreso più e più volte.

Siamo fiduciosi.

In questo periodo ne abbiamo la necessità.

[1] Ringrazio la Prof.ssa Damiana Chinese dell’Università di Udine per avermene fatto cenno.

[2] Cioè quella tipologia di impianto, nell’arco di un anno, è operativa per circa 320 giorni.

[3] Il fotovoltaico eroga potenza elettrica, in forma peraltro aleatoria, per circa 100 giorni medi all’anno (disponibilità del 28-29%).

[4] Si sente l’eco del mai sopito progetto avveniristico elaborato dalla Desertec Foundation.

[5] L’articolo specifica che (traduzione non ufficiale): “Il metano industriale, come il gas naturale, è classificato come gruppo di apparecchiature IIA, a condizione che non contenga più del 25% in volume di idrogeno”

[6] La miscela conserverebbe il gruppo di accensione IIA.

[7] Il CNG per autotrazione è pressurizzato nel range 200-250 bar.

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