Il catastrofico terremoto di Lisbona del 1755 rappresentò, a detta degli storici, un evento che cambiò non solo il Portogallo ma, culturalmente, l’intera Europa.
Le scosse del sisma si propagarono ben al di la delle faglie geologiche e raggiunsero la cultura della popolazione modificando convincimenti fino ad allora ritenuti inscalfibili.
Secondo significative interpretazioni[1] DIVISE LA STORIA in un prima ed un dopo.
Suddivise, cioè, un periodo millenario antecedente nel quale il rischio veniva considerato una punizione divina (con conseguente sospensione delle leggi di natura) da un’epoca successiva in cui il rischio associato a tali catastrofi (terremoti, eruzioni vulcaniche, maremoti) divenne una manifestazione delle forze della natura con precise e puntuali responsabilità umane.
Ma cosa accadde, di preciso a Lisbona? Ebbe luogo forse l’evento sismico più rilevante avvenuto nel continente europeo negli ultimi 2000 anni. Un terremoto di magnitudo 8,4 della scala Richter colpì infatti la città nel giorno di Ognissanti.
Tre scosse ripetute, della durata stimata di circa 10 minuti la rasero al suolo tutta. Al terremoto seguì, dopo un’ora e mezza, un’onda di tsunami alta fino a 20 metri che sommerse la città. Lo tsunami non colpì solo Lisbona ma tutta la costa del Portogallo e dell’Africa nord-occidentale.
Insomma un disastro epocale.
Causò tra i 60 e i 100 mila morti e vennero distrutti l’85% degli edifici della città.
Questo fatto determinò il primo vero confronto tra Chiesa e laicità che ebbe luogo in occidente in conseguenza di un fatto reale e concreto (in fondo il sole, i pianeti, erano cose distanti dal senso comune).
La Chiesa, fin dal giorno dopo, iniziò a predicare che un tale evento, accaduto nel giorno di Ognissanti, era un chiaro segno divino: Lisbona era una città peccatrice e doveva essere punita. E quale miglior punizione che uccidere 100 mila persone le quali, all’interno delle chiese, seguivano Messa (in sisma avvenne tra le 9:30 e le 9:50 del mattino)?
Al fianco della Chiesa si schierò Leibnitz il quale, attraverso l’ argomentare sul “migliore dei mondi possibili”, arrivò alla seguente, straordinaria, conclusione: “Ciò che è, è giusto”.
E poteva mancare un predicatore? Certo che no. Era un gesuita, Gabriel Malagrida che, dal giorno dopo, iniziò la sua “denuncia” sulla responsabilità del peccato degli uomini in quanto accaduto.
Il fronte laico era invece capeggiato dal Marchese di Pombal, Ministro del Regno, che si occupò della ricostruzione della città.
Nacque peraltro in questo periodo il primo embrione di geologia: un filosofo naturale dell’epoca, Alvarez Da Silva, pur con tutte le cautele del caso (il processo a Galileo Galilei aveva fatto scuola), arrivò a dire che si, il terremoto poteva essere una punizione divina MA ANCHE poteva essere spiegato con cause naturali. Per esempio fantomatici fuochi sotterranei che arrivando vicini alla crosta, provocavano i terremoti. Non era molto, ma eravamo pur sempre nel 1755. E c’era l’inquisizione.
Poi arrivarono i pezzi da novanta della filosofia politica dell’epoca (Voltaire e J.J. Rousseau) che contestarono la “visione del mondo” della Chiesa e di Leibnitz. Voltaire non perse occasione di ridicolizzare “il migliore dei mondi possibili” postulato da quest’ultimo.
Come andò a finire? E che fine fece Malagrida, il predicatore del peccato come causa delle catastrofi?
Fu accusato di tentato omicidio ai danni di Pombal (pare in base a prove false). Venne gettato in prigione, consegnato all’Inquisizione e, dopo un “processo”, trascinato in piazza, torturato per un giorno, strangolato e poi arso di fronte alla folla.
Insomma, nel 1755 a Lisbona nacque la scienza geologica e si ebbe il baluginare di una nuova concettualizzazione del rischio.
[1] Lannoy A. (2008). Maîtrise des risques et sûreté de fonctionnement: repères historiques et méthodologiques (Collection Sciences du risque et du danger). Lavoisier.