Esiste un’emergenza sicurezza sul lavoro in Italia?

A giudicare da quanto accaduto negli ultimi mesi in Lamina, nel porto di Livorno e, nel giorno di Pasqua, all’ECB di Treviglio, probabilmente sì.

È sicuramente presente una fluttuazione statistica di tali tipologie di incidente (legge dei piccoli numeri) ma, altrettanto certamente, non possiamo far finta di nulla.

Gli incidenti sono avvenuti e su questo ci si deve interrogare, al netto della logica giornalistica spesso volta ad evidenziare i soli aspetti emotivi degli accadimenti[1].

Pur non conoscendo le specifiche dinamiche incidentali, è certamente vero che gli incidenti citati sono accomunati da alcuni fattori:

  • si sono verificati in aziende strutturate;
  • hanno causato un decesso plurimo di persone;
  • hanno coinvolto anche personale ad alta competenza operativa;
  • gli eventi radice, le anomalie che hanno causato le tragedie, pare non fossero mai accaduti nel corso dell’intera attività delle aziende coinvolte;
  • gli impianti di processo possedevano una certa anzianità di servizio;
  • le anomalie che hanno condotto alle tragedie si sono verificate durante transitori o comunque durante fasi di manutenzione, così come definibili nell’ambito della EN 13306.

Insomma, si discute di eventi relativamente poco frequenti ma, parimenti, molto gravi, verificatisi in ambito industriale (né cantieri, né agricoltura) che hanno avuto origine durante le fasi di manutenzione con impianti “maturi”.

Ce ne sarebbe da dire.

Mi concentrerei tuttavia solo sull’ultimo aspetto che credo prioritario rispetto alle altre variabili: la manutenzione.

Ovviamente le mie saranno considerazioni generali che non vogliono entrare nel merito degli specifici eventi: come già anticipato, non li conosco nel dettaglio e saranno gli organi dello stato preposti a fare chiarezza sulle dinamiche.

Rilevo che i rischi connessi alle attività di manutenzione sono, da sempre, uno tra gli aspetti a maggior criticità nell’ambito della sicurezza sul luogo di lavoro, soprattutto in un paese come il nostro nel quale, anche per le specificità del tessuto produttivo costituito prevalentemente da piccole e medie imprese, si realizza una parte considerevole delle attività manutentive solo in occasione dei guasti a macchine, attrezzature ed impianti.  In particolare, le problematiche connesse agli aspetti manutentivi di macchine ed attrezzature di lavoro presentano, ad oggi, i seguenti aspetti da bene considerare:

  • le normative tecniche armonizzate che attualmente consentono al costruttore di assolvere agli obblighi imposti dalle direttive di prodotto (direttiva macchine, PED, ATEX, ecc.), e quindi marcare CE il proprio manufatto, sono concepite come strumento per garantire la sicurezza del prodotto nuovo. Nella maggioranza dei casi, quindi, la norma armonizzata tace sulle problematiche connesse al mantenimento delle caratteristiche di sicurezza del prodotto nell’arco del tempo di missione progettato;
  • a causa della problematica precedentemente esposta, le istruzioni d’uso delle macchine sono spesso, per la parte manutentiva, o lacunose oppure, al contrario, inutilmente ridondanti;
  • il Titolo III, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008 ha introdotto il concetto di controllo sulle attrezzature di lavoro, da effettuarsi a cura del datore di lavoro, che si affianca alle verifiche di legge svolte da ente terzo. Tuttavia, mancano chiari riferimenti sulle modalità concrete attraverso cui tali controlli possano essere svolti. Tale obbligo di controllo e manutenzione richiede infatti, da parte dell’utilizzatore, uno sforzo di omogeneizzazione delle prescrizioni indicate dai manuali di uso, soprattutto nei casi di impianti complessi;
  • spesso le trattazioni in lingua italiana che discutono di manutenzione (manuali, testi, ecc.), sono orientate alla produzione ed alla logistica, finalizzando gli strumenti manutentivi al miglioramento della stessa e alla minimizzazione dei costi aziendali, con la conseguenza che, a volte, si trascurano completamente gli aspetti connessi alla sicurezza sul lavoro;
  • le operazioni di manutenzione risultano tra le maggiori cause di infortuni e decessi nei luoghi di lavoro. La caratteristica che emerge con più evidenza è relativa al fatto che le persone, nel corso delle attività manutentive, si infortunano gravemente spesso per pochi e selezionati motivi. Le attività di manutenzione uccidono, con deprimente regolarità, da Nord a Sud, nelle aziende familiari e in quelle a rischio di incidente rilevante, sempre con lo stesso copione e, spesso, in situazioni già previste dalla normativa cogente fin dagli anni ’50.

Esiste una strategia che possa, nel medio periodo, diminuire questo tipo di eventi incidentali? Secondo me sì. In un tessuto produttivo nel quale:

  • gli asset di processo stanno inevitabilmente invecchiando;
  • la “manutenzione” spesso si declina con “riparazione”;

una possibile soluzione passa, necessariamente, dall’adozione di politiche manutentive strutturate e finalizzate non già alla riparazione ma alla prevenzione dei guasti. I servizi di manutenzione, in sintesi, non dovrebbero più essere disgiunti dai servizi di prevenzione e protezione, ora coinvolti, in questo ambito, spesso solo per “gestire” l’evento di riparazione ma quasi mai per prevenirlo.

Una logica RCM (Reliability Centered Maintenance), di manutenzione orientata all’affidabilità, coadiuvata dai principi di sicurezza intrinseca di Kletz, sarebbe certamente d’aiuto.

Nella quasi totalità dei casi, peraltro, il problema della manutenzione non consiste in conoscenze aziendali che non si possiedono. Il problema, quello vero, è che non si utilizzano le conoscenze che già si hanno.

E non sarebbe certamente negativo che ogni evento di questo tipo fosse “maestro”. Ad oggi, infatti, non esiste un sistema strutturato che rielabori le dinamiche incidentali, ne faccia tesoro ed emetta, in relazione a queste, linee guida migliorative.

Tutto nasce e muore all’interno del processo penale.

E le preziose informazioni che potrebbero migliorare la sicurezza complessiva delle nostre imprese, vengono spesso perdute.

Nel mondo industriale anglosassone, nell’ambito dei rischi di processo Seveso, nel settore aeronautico (solo per citare alcuni esempi) esiste un sistema di reportistica che consente il miglioramento a seguito di un’anomalia.

Per le aziende italiane a rischio convenzionale purtroppo questa cosa non c’è, se si esclude la banca dati INFORMO, poco utilizzata, peraltro.

Ogni incidente insegna.

E tali insegnamenti sono stati già pagati a caro prezzo con perdite di vite umane e distruzione di impianti. Ottenere l’informazione, il feedback, su quanto accaduto è un passaggio indispensabile e, credo, doveroso in una logica di miglioramento complessivo del nostro “unico” sistema industriale suddiviso in distretti industriali, ciascuno con specifiche peculiarità.

Alla prossima!

Ciao

Marzio

[1] Premessa obbligatoria: non entro, e non voglio entrare, nella tragedia umana che ogni singolo decesso porta con sé. Alle famiglie di chi ha perso un caro sul lavoro rivolgo il mio personale e partecipato cordoglio.

Commenti (6)

  • Rispondi Stefano Caravelli - 3 Aprile 2018

    Condivido totalmente le tue considerazioni !

  • Rispondi FRANCESCO MINGOLLA - 3 Aprile 2018

    molto interessante. sicuramente degli incentivi per la completa sostituzione potrebbero anche essere alla base di una buona politica nazionale.
    spesso in azienda si vedono macchinari ed impianti che pure la più perfetta teoria di manutenzione fallirebbe.

  • Rispondi Dante corbani - 4 Aprile 2018

    Complimenti.
    Concordo, una piccola considerazione,si riesce a ottenere poche informazioni sulle cause di questi incidenti, i giornalisti non sono preparati e a volte riportano informazioni riportate omettendo particolari che potrebbero essere argomenti di analisi durante i vari corsi aziendali.

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