Disclaimer: post per soli iniziati alle “Arti oscure dell’ATEX”
A breve usciranno i dettagli del corso di formazione sulle atmosfere esplosive che si proporrà lo scopo di fornire una “cassetta degli attrezzi avanzata” utile ad affrontare il tema della classificazione delle zone a rischio di esplosione anche alla luce della nuova IEC 60079-10-1:2020. Ci concentreremo pure sulla valutazione del rischio ATEX correlata alla nuova edizione della Regola Tecnica Verticale n. 2 del Codice di Prevenzione Incendi.
Non sarà possibile incontrarci di persona come avvenne lo scorso anno a Milano[1]. Era febbraio 2020 e, riguardando la fotografia dell’evento, si acquisisce la consapevolezza che la pandemia ci ha fatto entrare in una nuova “epoca”.
Sia come sia, la “marcia” che ci avvicinerà a questo incontro sarà intervallata da brevi ma puntuali interventi che posterò sul blog.
Questo è il primo.
Oggi discuteremo delle ‘zone non estese’ e di alcune particolarità del nomogramma, presente nella EN 60079-10-1:2015, indispensabile alla loro determinazione.
Cominciamo dicendo che una zona non estesa è “(…) di estensione trascurabile (NE) (e) può essere trattata come non pericolosa. Questo tipo di zona implica che un’esplosione, se avviene, avrà conseguenze trascurabili”.
A questo proposito, nel mio ebook, a suo tempo pubblicato sull’argomento, mi soffermavo su questo: “(…) Tale specifica, probabilmente condivisibile nel caso si valutino i soli danni da sovrappressione, appare di interpretazione meno certa nel caso di Flash fire che coinvolgano personale prossimale al rilascio. Ricordiamo, infatti, che il rapporto tipico tra i volumi della miscela combusta rispetto alla miscela non ancora innescata è pari a circa 8 per una tipica miscela idrocarburica (rapporto tra la temperatura di fiamma e la temperatura ambiente). Il che si tradurrebbe, considerando un volume di infiammabile da innescare non inferiore a 0,1 m3, in un fronte di fiamma di quasi un metro cubo. Peraltro gli effetti di un Flash fire derivante da una nube di vapori adiacenti ad una pozza di liquido infiammabile possono comportare aggravi di rischio particolarmente significativi rispetto al Flash generato dalla sola presenza di gas infiammabile leggero. Maggiori dettagli, in questo senso, sono rinvenibili nel capitolo 8 del testo RAE[2] (…)”.
Ed è proprio su questo argomento che la nuova IEC 60079-10-1:2020 appare radicalmente innovativa poiché il nuovo art. 4.4.2 così si esprime:
“The criteria for a zone NE classification should be based on the following factors:
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- Ignition would not result in sufficient pressure to cause harm either due to the pressure wave or due to damage that could cause flying objects or particles e.g. broken glass from windows.
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- Ignition would not result in sufficient heat to cause harm or a fire from surrounding materials.
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- For gas distributed at pressures above 1000 kPag (10 barg) consideration shall be given to a specific risk assessment
- A zone NE shall not be applied to gas distributed at pressures above 2000 kPag (20 barg) unless a specific detailed risk assessment can document otherwise”.
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…quasi mi avessero letto nel pensiero…
Non è certo così, ma mi piace pensarlo.
Nell’attesa di approfondire online il nuovo tema connesso alla NE contenuto nella terza edizione dello standard di classificazione, proviamo ad indicare un paio di chiavi di lettura relativamente ai punti in ombra presenti nella seconda edizione. Vogliamo cioè rispondere alle seguente domanda:
“Qual è il reale limite sotto il quale considerare Non Estesa (NE), e quindi con ALTO GRADO DI DILUIZIONE[3], una zona a rischio di esplosione secondo EN 60079-10-1:2015?”
L’allegato C.3.5 (cfr. Ed. 2), specifica quanto segue: “Il grado di diluizione è ottenuto trovando l’intersezione tra i rispettivi valori individuati sugli assi verticale e orizzontale. La linea che divide l’area del grafico tra la ‘diluizione alta’ e la ‘diluizione media’ rappresenta un volume infiammabile di 0,1 m3 così che ogni intersezione sulla parte sinistra della curva implica un volume infiammabile ancora più piccolo[4]”.
[“The degree of dilution is obtained by finding the intersection of respective values displayed on horizontal and vertical axis. The line dividing the chart area between ‘dilution high’ and ‘dilution medium’ represents a flammable volume of 0,1 m3, so any intersection point left to the curve implies an even smaller flammable volume”]
Esisteranno quindi infinite coppie di valori [Wg*; uw] che delimiteranno la zona ad ALTA diluizione da quella a MEDIA.
Qualche esempio di velocità dell’aria uw correlata a specifiche portate di emissione Wg* caratterizzanti la transizione tra diluizione MEDIA ed ALTA Eccoli:
- Wg* = 0,001 m3/s -> uw = 0,0135 m/s
- Wg* = 0,005 m3/s -> uw = 0,068 m/s
- Wg* = 0,03 m3/s -> uw = 0,41 m/s
- Wg* = 0,4 m3/s -> uw = 5,41 m/s
Chiediamoci, ora:
“Come è stato costruito il diagramma logaritmico in base al quale si stabilisce l’aggravio o l’attenuazione del rischio nella classificazione delle zone a rischio di esplosione?”
Tutto parte da un ripensamento complessivo del concetto di Vz (volume ipotetico di atmosfera esplosiva) presente nella norma EN 60079-10 fin dal 1996. Tale nuovo approccio, innovativo rispetto alla canonica interpretazione data in tutti i documenti dell’IEC, del CENELEC e del CEI dal 1996 al 2012, venne elaborato proprio nel 2012 da Predrag Persic (Persic, 2012[5]).
Successivamente la Commissione Elettrotecnica Internazionale adottò tale mutazione di paradigma e la pose a fondamento della seconda edizione dell’IEC 60079-10-1 (quella del 2015), preferendola all’interpretazione data dall’HSL nel 2005 che conteneva, ad essere sinceri, un giudizio forse troppo severo sul parametro Vz:
“(…) The British Standard contains a methodology for the estimation of this cloud size which is of unknown origin and dubious accuracy (…)”
In fondo quando venne concepita la metodologia di calcolo del Vz, utilizzata peraltro con profitto per due decenni, la simulazione CFD di cui si servì l’HSL per confutare il Vz, era molto di là da venire per applicazioni connesse alla classificazione delle zone a rischio di esplosione.
Lo è tuttora, peraltro
La sintesi del nuovo approccio al Vz è riepilogato nella figura seguente (Fonte: Persic, 2012) in cui il volume dell’atmosfera esplosiva ha una forma conica, quella che ci si può ragionevolmente aspettare da qualsiasi rilascio passivo da una sorgente puntiforme in presenza di ventilazione ambientale. Solo in rari casi, come in presenza di forte vento, la nube di gas infiammabili potrebbe assumere forme differenti (es. una forma cilindrica).
Questo approccio è incluso pure nella nuovissima IEC 60079-10-1:2020; è sufficiente consultare la figura 1 del nuovo standard per averne contezza.
In particolare, nell’articolo di Persic si correla, attraverso un approccio basato su equazioni di continuità, il Vz alla velocità locale dell’aria attraverso la seguente relazione:
Per il significato dei simboli si faccia riferimento alla pubblicazione citata, alla EN 60079-10:1996 ed alla EN 60079-10-1:2015.
La retta (in diagramma Log-Log) che separa la zona ad ALTA da quella a MEDIA diluizione è quindi semplicemente ottenibile assumendo una opportuna costante Ф e imponendo il valore Vz = Vz,NE uguale a 0,1 m3.
In questo senso la costante Ф è stabilita dalla norma EN 60079-10-1:2015 (e dalla successiva IEC 60079-10-1:2020) pari a cinque.
Tutto bene insomma? Abbiamo scoperto la relazione posta alla base del diagramma C.1, EN 60079-10-1:2015?
Più o meno.
Il Persic, infatti, suggerisce di adottare la seguente equazione per il calcolo di Ф:
Assumendo il valore φ = 30° al vertice del cono di rilascio [range compreso tra 22° e 60°][6] si ottiene per il parametro Ф il valore di 0,74, circa sette volte inferiore a quello fatto proprio dalla norma.
A questo proposito viene specificato nel paper che:
“(…) il coefficiente Ф dovrebbe essere determinato preferibilmente attraverso la modellazione di CFD, supponendo che possa assumere valori diversi per diversi scenari di rilascio. In ogni caso, il valore di 0,74 proposto (…) è una buona approssimazione da assumere in prima istanza”
È credibile che nell’ambito dei lavori di simulazione CFD svolti dal sottocomitato tecnico IEC/TC 31J si sia giunti a stimare una costante differente rispetto a quella proposta nella pubblicazione scientifica di partenza per ragioni che ad oggi non mi sono note.
In conclusione appare evidente che il concetto di Vz è ancora bene presente all’interno dello standard di classificazione, pure se interpretato e calcolato con modalità e forme differenti rispetto agli “albori”.
Proposta di esercizio: vogliamo provare a calcolare quale sia il volume Vz adottato da normate per definire il discrimine tra zone a MEDIA e BASSA diluizione? Vi va?
Alla prossima!
Ciao
Marzio
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[1] Utilizzeremo una piattaforma web
[2] Marigo M. (2017), Rischio Atmosfere Esplosive ATEX, WKI-IPSOA
[3] La condizione di ALTA diluzione pur non essendo sufficiente ad ottenere zone NE è tuttavia condizione necessaria
[4] Il valore di 0,1 m3 verrà di seguito indicato come Vz,NE
[5] P Persic, Hypothetical Volume of Potentially Explosive Atmosphere in the Context of IEC Standard 60079-10-1, Ex-Bulletin, Croatia 2012. Vol 40, 1-2
[6] Nota Persic: “Objection could be submitted that the coefficient Ф is not well defined and that it requires a proper empirical validation.Nevertheless, under some reasonable premises, it can be assumed on the safe side. E.g., we know for sure that the spatial angle of jet/plume expansion is somewhere between 22° and 60° depending on the release conditions and that the gas concentration at the periphery must be quite negligible”
Commenti (2)
Estellito Rangel Junior - 5 Gennaio 2021
Caro Marzio,
Il concetto di Vz è sempre stato controverso, in quanto si basa su una sorgente di emissione che nasce dal nulla, senza obbedire al principio del risparmio energetico.
L’equazione Vz in IEC 79-10 era di primo grado, quindi piuttosto rudimentale, e lo standard stesso diceva che Vz non era il volume dell’area classificata.
Lo studio HSE UK ha riportato il concetto di Vz come sbagliato (rapporto RR630) e ha sviluppato un software commerciale, Quadvent, per stimare il volume delle aree classificate. Tuttavia, la sua versione 1.0 era molto limitata, il che ha deluso gli acquirenti.
Va notato che Persic, coordinatore di MT, è un ingegnere meccanico, il che è strano all’IEC. In una riunione di MT aveva dichiarato che Vz sarebbe stato annotato nel suo quaderno di scuola e che “non aveva trovato una formula del genere da nessun’altra parte” (?!).
Le equazioni in 60079-10-1 sono state introdotte dal personale HSE UK, che è entrato nella MT, ma non sono anche ingegneri elettrici.
Pertanto, 60079-10-1 non si adatta a IEC, ma a ISO.
E “standard” è definire “requisiti minimi”; se il documento ha equazioni e se non riflettono tutte le situazioni possibili, allora il documento non può essere uno “standard” (IS), ma una specifica tecnica (TS) o un rapporto tecnico (TR).
Attendo il tuo addestramento.
Saluti.
Marzio Marigo - 6 Gennaio 2021
Caro Estellito
la tua considerazione: “standard” è definire “requisiti minimi”; se il documento ha equazioni e se non riflettono tutte le situazioni possibili, allora il documento non può essere uno “standard” (IS), ma una specifica tecnica (TS) o un rapporto tecnico (TR)”
è certamente meritevole di riflessione.
Aggiungo che tutti gli strumenti di calcolo della norma EN 60079-10-1:2015 sono presenti negli allegati classificati come “informativi”.
In questo senso, quindi, la parte normativa dello standard si riduce alle pagine che vanno dalla 10 alla 29. Le rimanenti 77 (30->107) sono, in effetti, assimilabili ad un rapporto tecnico.
Grazie per lo spunto di approfondimento.
A presto
Marzio
PS – Ottimo il tuo italiano!