Della compensazione del rischio, dei taxi e delle aspirine

Da sempre la sicurezza sul lavoro appare inestricabilmente intrecciata al comportamento delle persone. Credo questa sia un’affermazione incontestabile: pensare, cioè, di fare sicurezza senza tenere in debito conto le contromisure che l’operatore o l’organizzazione porrà in atto per direzionarsi verso la linea di minor resistenza può concretizzarsi, spesse volte, in un lavorio inefficace e, alcune volte, controproducente.

In questo senso, all’inizio della mia attività (vent’anni fa ormai. Il tempo passa…), mi colpirono molto due ricerche che nulla avevano a che fare con la sicurezza sul lavoro propriamente detta.

Un primo studio approfondiva gli effetti sulla sicurezza stradale dell’adozione dell’ABS. Una seconda ricerca quantificava quale fosse il vantaggio di sicurezza dato dall’introduzione, nell’industria dei farmaci, delle confezioni a prova di bambino.

Il primo studio: i taxi e l’ABS

Il Governo Federale Tedesco (il 9 novembre 1989 era di là da venire), a seguito dell’introduzione dell’ABS nelle automobili, approvò una ricerca, svolta tra il 1981 e il 1983 (con un approfondimento di indagine condotto nell’anno 1985-86), volta a verificare in che misura questo dispositivo riducesse gli incidenti stradali (Aschenbrenner, Biehl, 1994).

Infatti, se è vero che un sistema di antibloccaggio dei freni consente di migliorare in modo oggettivo (in condizioni controllate) la sicurezza stradale, cosa accade guidando un autoveicolo nei flussi di traffico realmente presenti nelle grandi città metropolitane europee?

Per ottenere, quindi, una risposta alla precedente domanda la ricerca arruolò una categoria di persone certamente in grado di guidare in modo affidabile un’automobile: i taxisti che lavoravano per un’importante società operante in una città europea di grandi dimensioni (Monaco di Baviera).

Le auto utilizzate erano della medesima marca ed identiche in ogni particolare, eccezion fatta per la dotazione (o meno) dell’ABS. I taxisti vennero peraltro assegnati all’una o all’altra tipologia di auto con criterio casuale.

Dopo tre anni di sperimentazione il totale degli incidenti che coinvolsero la flotta di taxi fu pari a 747. Il fatto sorprendente fu che il numero di veicoli con ABS incidentati non risultò minore bensì leggermente superiore a quelli privi di ABS. Tale leggera prevalenza numerica non ebbe tuttavia significatività statistica (un successivo approfondimento evidenziò che la gravità degli incidenti era indipendente dal tipo di sistema di frenatura mentre con l’ABS si verificavano un maggior numero di incidenti su fondi sdrucciolevoli).

Peraltro la gravità degli infortuni agli autisti e passeggeri risultava indipendente dalla presenza o meno dell’ABS a bordo.

Ci fu un primo approfondimento di indagine che si concretizzò nell’installazione di 10 accelerometri in taxi con ABS e di altrettanti trasduttori in veicoli privi del sistema antibloccaggio. L’indagine proseguì per un totale di 3276 ore di guida ed evidenziò che le decelerazioni estreme prevalevano nelle auto con ABS.

Una terza parte dello studio consistette nell’analisi dello stile di guida dei taxisti (che, ricordiamo, vennero assegnati causalmente ai taxi).

Furono valutati 113 viaggi (su chiamata), 57 in taxi con ABS e 56 senza ABS.

Tutti i viaggi coprirono il medesimo percorso (18 km) e vennero misurate le velocità in quattro punti predeterminati del tragitto. Gli autisti non erano consapevoli che il loro comportamento era osservato e gli osservatori non sapevano se il taxi fosse dotato (o meno) di ABS. Le risultanze dell’analisi evidenziarono che gli autisti con ABS:

  • facevano curve più strette;
  • tenevamo meno costantemente la corsia di marcia;
  • mantenevano una minor distanza di sicurezza;
  • effettuavano manovre che creavano maggior “conflittualità” nel traffico;
  • in un punto, dei quattro misurati lungo il percorso, transitavano a maggior velocità.

Per riassumere, l’installazione dell’ABS modificò il comportamento di guida di autisti professionisti. Questi si adattarono alla misura di sicurezza e, limando i margini di sicurezza, mantennero sostanzialmente inalterato il tasso di incidentalità. I taxisti, cioè, forti della sicurezza fornita dalla barriera di sicurezza aggiuntiva, compensavano il vantaggio di sicurezza con comportamenti alla guida più imprudenti.

Il secondo studio: le confezioni di farmaci a prova di bambino

La Food and Drug Administration Statunitense introdusse, nel 1972, l’obbligo di utilizzare tappi di sicurezza per le confezioni di farmaci analgesici (chi è stato in USA ha ben presente la dimensione delle “confezioni famiglia” di aspirine in vendita nei supermercati) . Tale dispositivo fu pensato per rendere difficile, per i bimbi, l’apertura dei contenitori, limitando in tal modo, le conseguenti intossicazioni. Uno studio condotto dalla Duke University (Viscusi, 1984) evidenziò, con sorpresa, un incremento nelle intossicazioni da farmaci nei bambini al sotto ai 5 anni: circa 3500 in più ogni anno in USA.

Le intossicazioni da aspirina crebbero, infatti, da 1,1 casi ogni 1000 accessi al pronto soccorso (bambini sotto i 5 anni) nel 1971 a 1,5 casi ogni 1000 accessi del 1980.

Cosa accadde in pratica?

L’introduzione della barriera di sicurezza rese meno attenti i genitori nel posizionamento dei farmaci in casa, dando ai bambini più possibilità di accesso alle confezioni. Anche in questo caso il comportamento umano rese inefficace l’utilizzo di una barriera tecnica, addirittura peggiorando il livello di sicurezza precedente.

Conclusioni (parziali, incomplete e provvisorie)

Alla luce degli studi riportati[1] potremmo trarre le seguenti conclusioni:

  • non necessariamente l’adozione di misure di sicurezza specifiche determina riduzioni di rischio;
  • esiste sempre un fenomeno di “adattamento” e “digestione” della misura di sicurezza da parte del singolo e dell’organizzazione;
  • in generale le misure di prevenzione sono più vulnerabili ai fenomeni di compensazione  del rischio rispetto a misure di protezione (passiva);
  • la compensazione del rischio appare tanto più evidente quanto meno coinvolto risulta il personale in tema della sicurezza[2];
  • preliminarmente ad ogni intervento di miglioramento dovrebbe essere “creato” il problema della sicurezza nell’organizzazione.

In estrema sintesi, e per concludere, senza il coinvolgimento del personale le misure di miglioramento della sicurezza possono a volte essere compensate con comportamenti di retroazione che le annullano.

In altri termini, la sicurezza in stabilimento va “vissuta”.  Non “subita”.

Bibliografia (breve)

Aschenbrenner, K. M., & Biehl, B. (1994). Improved safety through improved technical measures?. Challenges to accident prevention. The issue of risk compensation behaviour

Viscusi, W. K. (1984). The lulling effect: the impact of child-resistant packaging on aspirin and analgesic ingestions. The American Economic Review, 74(2), 324-327

Note a piè di pagina

[1] Potrei citarne altri. Anzi, invito i miei due lettori a pensare a misure di sicurezza che, nella loro esperienza, hanno dimostrato palese inefficacia.

[2] La compensazione del rischio potrebbe essere limitata con molti strumenti. Nel caso dei taxisti di Monaco di Baviera, per esempio, la riduzione del tasso di incidentalità delle auto con ABS si raggiunse coinvolgendoli economicamente nelle spese di riparazione, nel caso si fosse dimostrata una loro imprudenza alla guida.  

Commenti (2)

  • Rispondi vittorio bozzetto - 5 Giugno 2018

    come un buon bicchiere di vino rosso, come un sigaro toscano ……….. da meditazione .

  • Rispondi Riccardo borghetto - 5 Giugno 2018

    Bell’articolo. Ne condivido le conclusioni.

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